TERAMO – «Tredici poli di innovazione? Sono decisamente troppi». E’ questa la posizione del presidente di Confindustria Teramo Salvatore Di Paolo, che, in questo momento di crisi, teme una dispersione delle poche risorse a disposizione in troppi rivoli. «Non è in questo modo – spiega Di Paolo – che si aiuta il mondo delle imprese. Di certo l’innovazione, la ricerca, la sperimentazione, l’apertura ai mercati esteri rappresentano degli elementi fondamentali sui cui puntare per la sopravvivenza delle nostre imprese. In questo preciso momento storico e contesto sociale, però, è altrettanto importante operare delle scelte, per non disperdere i fondi e per puntare su settori specifici che possano fungere da volano per l’economia regionale». La posizione di Di Paolo è condivisa anche dal mondo dei sindacati: un pensiero analogo, infatti, è stato espresso dal segretario provinciale della Cgil Giampaolo Di Odoardo. Di Paolo indica i settori su cui sarebbe opportuno puntare: Automotive, Agroalimentare ed Energia. «Gli altri – aggiunge – sono di contorno, ma drenano comunque delle risorse».
LA RIPRESA? A META’ 2013 – Un altro elemento che unisce il mondo dell’imprenditoria a quello dei sindacati è la preoccupazione per il ricorso, sempre più massiccio, alla cassa integrazione nella nostra provincia. Una vera piaga sociale, oltre che economica. «Purtroppo – afferma Di Paolo – i dati diffusi dai sindacati sono realistici. Dopo le ferie estive ci sono state delle aziende che non hanno più riaperto. E’ un momento particolarmente difficile, possiamo dire, però, di aver toccato il fondo, ora possiamo solo risalire: le aziende che dovevano chiudere i battenti ormai l’hanno fatto, auspichiamo una lenta ripresa nella seconda metà del 2013, ma per recuperare il fatturato degli ultimi 2/3 anni ci vorrà decisamente molti tempo».
IL DRAMMA DELLA VAL VIBRATA – E la Val Vibrata? «Si tratta – sostiene Di Paolo – di un dramma nel dramma – in passato era considerata un volano per lo sviluppo regionale, e veniva paragonata alle regioni del nord. Con la crisi, che ha colpito in maniera più severa il settore tessile, ha perso queste sue caratteristiche. Il vero problema è stato non aver capito per tempo che non si poteva continuare a lavorare come terzisti, ma che sarebbe stato necessario creare dei marchi propri per sopravvivere alla concorrenza della manodopera estera».